Intervista a Franco Vescera, rappresentante dell’eccellenza della panificazione siciliana.
Sig. Franco Vescera, ci racconta le tappe salienti della storia dell’azienda dei fratelli Vescera?
L’azienda affonda le radici nel 1800, tramandata di generazione in generazione. L’attività si ampliò con una sede ad Agnone Bagni dove si produceva pane della zona. Alla fine degli anni 60 aprimmo il forno a Carlentini; oggi i miei figli rappresentano l’ottava generazione e i miei nipoti la nona. Io arrivo dal mondo manifatturiero; mi trasferisco in Sicilia a 27 anni. Oggi sono il manager, mi occupo di economie multidisciplinari e i pilastri su cui si fonda l’attività sono: orientalizzazione della conoscenza e verticalizzazione degli obiettivi, in seguito a un’attenta indagine sui territori e ad un confronto del prodotto sotto il punto di vista tecnico. Il pane di Lentini – ancora oggi abbiamo il forno a legna, che assicura una qualità assoluta a fronte di una quantità limitata – è dunque frutto di uno studio sulla panificazione e il territorio. Tra il 1999 e il 2000 si iniziò ad affacciare un consumatore più consapevole sul palcoscenico commerciale. La linea “BIO” si affermò sempre di più, il consumatore acquisiva conoscenze organolettiche.
Successivamente, alcune vicissitudini avvenute tra Carlentini e Lentini – una diatriba tra panificatori – si risolsero in un’associazione prende forma nella mia figura qualora ce ne fosse bisogno. La parola d’ordine è: equilibrio della produzione nel territorio.
L’associazione diede inizio a un percorso, grazie al quale il pane di Lentini fu portato ovunque al di fuori della Sicilia. Dal 2002 venne realizzato il pane in purezza con gli ecotipi locali, i “grani antichi” Russello, Margherito e Timmilia. Da qui comincia il percorso di valorizzazione che porterà nel 2006 a rappresentare la Regione Sicilia in tutta Italia e in Europa nel settore della panificazione. In occasione di una kermesse internazionale presentammo al Castello Maniace a Siracusa un pane iconico a livello culturale. La valorizzazione si estese presto anche sulle isole minori. Nel 2015, in occasione dell’EXPO siamo stati protagonisti in ambito siciliano e mediterraneo. Io sono stato chiamato a svolgere il ruolo di capo cerimoniale per aver puntato tutto su conoscenza, innovazione, sviluppo. I grani antichi, daltronde, hanno accompagnato l’essere umano da sempre; prima non si aveva contezza di tutto ciò, mentre oggi ci troviamo nella fase di consapevolezza (a livello internazionale) di ciò che io esprimevo ma venivo visto come un visionario.
L’azienda ha ricevuto tanti riconoscimenti: quale tra questi le ha dato più soddisfazione?
Alcuni tra i migliori riconoscimenti da menzionare sono sicuramente: “Il miglior Pane d’Italia” a Milano, “La miglior azienda per la biodiversità e la cultura” a Bologna e “Best in Sicily” a Palermo. Da non trascurare gli encomi ricevuti dal Ministero dell’Ambiente e da altri enti importantissimi.
Quali sono gli ingredienti del successo dell’azienda secondo Franco Vescera?
Gli ingredienti del successo possono riassumersi così: l’umiltà verso la conoscenza passata, il confronto con il presente e la lungimiranza sul futuro lontano. Quello che abbiamo sempre fatto è mettere al centro i bisogni dell’essere umano. Non c’è cibo buono o non buono; il cibo è (o non è) funzionale in relazione ai parametri di chi lo deve consumare.
Aver estrapolato le conoscenze dalla memoria storica e dalle testimonianze, utilizzando leve manageriali per unire passato e presente verso il futuro: così si può sintetizzare il processo che ha portato al successo. Il mio lavoro è tirare fuori un sito archeologico coperto dalla terra, mettere in essere un prodotto che da sempre l’essere umano riconosce, seguendo una linea organolettica e salutistica.
Quali sono i progetti e le sfide future?
I progetti attuali e futuri si concentrano in diversi luoghi e prodotti, principalmente: il pane di Ustica, la pasta di mozia – Sebastiano Tusa credeva molto in questo progetto e abbiamo lavorato insieme per portarlo avanti – e la pasta di Pantelleria. In quest’ultima isola vi sono 6.500 ettari di terreno, di cui 4.000 incolti. Qui coltiviamo tre varietà di grano – maiorca, timilia e perciasacchi.
Lo scopo futuro che prende già forma nel presente è mettere insieme una rete di stakeholders, fornendo consapevolezza sui prodotti.
Ho anche presentato un progetto all’assessore Samonà sulla valorizzazione dei siti archeologici attraverso l’agrifood. Le componenti olfattive e gustative sono in grado di trasportare in un arco temporale – geografico ben definito. L’agrifood potrà quindi rappresentare il volano di sviluppo del territorio attraverso l’economia circolare.