Corinne Valenti – Docente di Letteratura Italiana
Diverse ragioni mi legano alla figura di Dante Alighieri, oltre alla grandezza del personaggio, un amore smisurato per la poesia e per il mondo medievale mi spingono ad approfondire le tematiche culturali legate a questo illustre personaggio che ha fatto la storia della letteratura.
Da siciliana e da “figlia di Jacopo” , inoltre, è come se fosse un atto dovuto, come un ringraziamento particolare a colui che già più di settecento anni fa aveva reso omaggio alla scuola poetica siciliana e a Jacopo da Lentini che ha fatto dono al mondo intero della forma poetica del sonetto, di cui Dante ampiamente farà tesoro.
Nel Settecentesimo anniversario della sua morte, in occasione del Dantedì, ho deciso di dedicare un approfondimento, tratto da un mio lavoro più ampio e complesso, che affronta le questioni legate alla dimensione autobiografica, di una delle opere più belle e appassionanti del sommo poeta: la Vita Nova.
SULLA CRONOLOGIA – Non ci è possibile stabilire una data certa riguardo l’inizio del lavoro di stesura, ma sappiamo per certo che fu posteriore alla morte di Beatrice, avvenuta nel 1290; è dunque presumibile che quel lavoro iniziò intorno al 1292 e si concluse entro il 1295. Tuttavia, se si considera che all’interno del libello sono inserite liriche composte precedentemente a quest’arco temporale (pensiamo al sonetto A cisascun alma presa e Gentil Core del 1283, o Era venuta nella mente mia del 1291), allora si può affermare che la Vita Nova fu il frutto di un lavoro che durò all’incirca un decennio.
SULLO STILE E LA METRICA – Dante è un poeta medievale che non tollera la frammentarietà ma aspira alla sintesi dell’eterogeneo, che nella Vita Nova è data dalla simbiotica unione di diversi testi, metri e stili linguistici. Se fino ad allora i provenzali avevano raccolto i loro componimenti secondo un criterio metrico, Dante si stacca da questa scia e si avvale di un criterio tematico; le poesie raccolte nel nuovo testo, seguono una trama, intessono i fili della narrazione e disegnano una storia, quella del rapporto tra Dante e Beatrice.
Tuttavia, i singoli componimenti poetici, pur seguendo un ordine tematico, non sono sufficienti a comporre da soli il discorso narrativo; a loro sostegno Dante adopera la narrazione prosastica, aggiungendo al corpus delle liriche una serie di prose che lui denomina “ragioni” e che sono il collante tra una poesia e l’altra.
Bisogna comunque fare una distinzione tra la prosa che precede e quella che segue il testo poetico: se la prosa che precede la poesia racconta i fatti, quella che segue serve da spiegazione alla lirica. Questa parte, quindi, rappresenta una sorta si autoesegesi letteraria. Tuttavia, c’è da notare che queste parti esegetiche non si trovano sempre nella stessa posizione: dopo la dipartita di Beatrice queste precederanno la lirica e, talvolta, saranno totalmente omesse, specialmente in corrispondenza della vicenda della Donna Gentile.
SUI FATTI NARRATI – A livello narrativo possiamo dividere la Vita Nova in tre parti principali.
Nella prima parte sono narrate le vicende d’amore tra Dante e Beatrice, secondo il punto di vista dell’amante; vengono messi in primo piano gli effetti che madonna provoca nell’innamorato, i suoi stati d’animo e le sue richieste di comprensione e compassione.
Nella seconda parte i toni cambiano. Matura in Dante un amore disinteressato, accompagnato da un conseguente cambiamento di poetica: da questo momento in poi inizia una vera e propria poetica della lode, che non parla più alla donna ma della donna, secondo il genere epidittico. In Donne ch’avete intelletto d’amore, ad esempio, Dante si rivolge ad altre donne per parlare dell’amata.
Nella terza parte del libello Beatrice è morta; il rimatore indossa il lutto e scrive una serie di componimenti in morte di lei. I rimatori provenzali conoscevano benissimo il genere del Compianto, ma Dante fa un passo avanti rispetto ai provenzali. Se in precedenza, con la morte dell’amata cessava anche la storia d’amore, con Dante dopo la morte la storia continua e la donna vive, non solo nel ricordo ma nella dimensione ultraterrena. Da angelo in terra Beatrice diventa angelo celeste, che saluta gli spiriti con la sua luce d’amore, riflesso della luce di dio.
SUI DIALOGHI – Un’ulteriore ed interessante riflessione scaturisce dall’analisi dei dialoghi tra i personaggi del libello.
La cosa che può sembrare singolare è che tra Dante e Beatrice non vi è mai uno scambio di parole. Lei non rivolge mai la parola a Dante, e c’è una ragione: interloquire con lui significherebbe abbassarsi, in qualche modo, allo stesso livello dell’altro, mentre ciò che lei vuole rafforzare è proprio il suo distacco, arrivando anche a negargli il saluto! Tanto meno Dante può parlare con lei che è l’epifania della divinità!
Dante è un poeta che proviene dalla tradizione cortese in cui il dialogo tra amante e madonna implica la richiesta di una corrispondenza d’amore: è come se il dialogo sancisse la natura erotica del sentimento.
Impossibilitato a parlare con Beatrice, Dante deve ricorrere ad altre presenze con cui interagire ed una di queste è Amore.
Amore è un sentimento, il sentimento di Dante, ma qui diventa un altro da sé, astrazione che prende corpo, come fosse un vero e proprio personaggio che indossa abiti e dialoga con il poeta. La personificazione da corpo a ciò che si trova all’interno dell’animo umano oggettivandolo. È un atteggiamento tipicamente medievale: parlare delle proprie esperienze come fossero esperienze universali, comuni a tutto il genere umano.
Ma come fanno a convivere due mondi così diversi tra loro? Personaggi e personificazioni? Reale e immaginario?
Beh, ancora una volta, e non sarà l’ultima, Dante ci dimostra la sua abile capacità di assemblare insieme elementi molto diversi tra loro, armonizzandoli in una magistrale polifonia.