Quando negli anni ’80 in Italia si affermarono movimenti intellettuali e di rinnovamento come la pittura colta e l’anacronismo, l’autore che seppe dialogare magistralmente con ambedue le correnti artistiche, tanto da divenire uno dei maggiori esponenti di entrambe, fu il pittore Alberto Abate. Di origine catanese (il padre Carmelo era scultore di fama internazionale), Abate può essere considerato a pieno titolo “uno dei venti artisti più rappresentativi del ‘900 italiano” (Edward Lucie-Smith – ArAToday, Phaidon Press, London 1995) e alla testa del movimento neoclassico internazionale. Le sue opere, pregne di immagini simboliche, recuperano dal classicismo lo stile dei soggetti, pur astraendo loro da una definita collocazione temporale.
Ogni opera di Abate è un libro che racchiude una storia, ma anche innumerevoli percorsi d’interpretazione, poiché l’osservatore avrebbe già occasione di meravigliarsi ed appagarsi contemplando la tecnica e la maestria racchiusa nelle luci, nelle ombre e nel colore delle sue opere. Ma per coloro che desiderano immergersi oltre la superficie, Abate mette a disposizione un mondo alternativo, in cui le rappresentazioni sono capaci di dialogare con le “terre interiori” di chi osserva. La sua scomparsa prematura, avvenuta nel 2012, ha privato molti artisti di una prolifica fonte d’ispirazione e di confronto, ma anche di un amico solare, amante del dialogo e della condivisione.
Incontriamo Emma, la figlia di Alberto, esperta di cultura ebraica e ricercatrice al CNRS di Parigi. Emma è determinata a raccogliere le tracce dell’opera del padre, disseminate in giro per il mondo, allo scopo di realizzare un catalogo “definitivo” e completo dell’artista. Ne approfittiamo per porle alcune domande.
Ciao Emma, quando hai iniziato a metterti sulle “tracce” delle opere di tuo padre e come stai vivendo il progetto di un suo catalogo aggiornato attraverso la sua storia?
Ho iniziato a mettermi sulle tracce delle opere di Alberto subito dopo la sua morte nel marzo del 2012. La sua malattia è stata brevissima e non gli ha permesso di mettere in ordine ogni cosa. C’erano due mostre antologiche in programma per il 2012, in maggio e dicembre, che mio padre stava organizzando in due sedi prestigiose, a Catania, qui a Palazzo Platamone, con Livio Radin, e con la preziosa collaborazione di Giovanni Oberdan e Salvatore Lo Giudice, e a Mantova, a Palazzo Tè, con Livio Radin e Carlo Micheli. Io ho partecipato sin da subito ad entrambi questi progetti (con le indicazioni che mi aveva lasciato mio padre) che erano pensati come una sorta di tournée dei suoi quadri, dal sud al nord Italia, con il titolo “Diaologo con la testa”. Successivamente insieme al critico d’arte e gallerista Arnaldo Romani Brizzi, e con l’aiuto di Massimo Caggiano, abbiamo organizzato una mostra alla Biblioteca Angelica di Roma, intitolata “Elogio delle Arti”, con un riferimento al quadro magnifico esposto qui al palazzo Platamone.
Per quanto riguarda il progetto di catalogo…Mio padre ed io parlavamo molto, mi raccontava del suo lavoro. In effetti, prendermi cura della sua arte è stata la continuazione naturale del nostro rapporto e del nostro dialogo. Sapevo che il catalogo generale e l’archivio erano un suo desiderio, così quando si sono create le condizioni per poterlo realizzare in un catalogo Skira, è stato possibile far diventare concreta un’idea (e un suo sogno). Cesare Biasini Selvaggi mi è sembrata la persona perfetta per realizzare questo impegno.
Quanta Sicilia c’era in Abate, nel suo carattere e nelle sue opere? Quanto è rimasto siciliano pur vivendo lontano dalle sua terra d’origine?
Una chiave di lettura dell’opera di Alberto è certamente quella del nostos, il viaggio di ritorno degli eroi dell’epos omerico per tornare a casa, attraversando il Mediterraneo. Per mio padre la Sicilia è il cuore, al centro di questa cultura mediterranea. Alberto ha cercato di attraversarla con il suo lavoro che è stato una ricerca delle origini: le origini mitologiche della Magna Grecia, non solo l’epos, ma la tragedia, la tradizione apollinea e dionisiaca, le creature mostruose, il pensiero sapienziale dei filosofi del mondo greco ed ellenistico, il pensiero magico della tradizione ermetica. L’idea di sincretismo dell’arte di Alberto, la combinazione degli stili, la ricerca del bello anche nel contrasto e nei colori accesi, è un’idea estrema siciliana. E poi la Sicilia bizantina, la Sicilia araba e normanna, la Sicilia ebraica e quella federiciana, sono tutti riferimenti necessari che permettono la lettura delle opere di mio padre.
Le tue ricerche universitarie indagano sulla tradizione esoterica ebraica. Puoi aiutarci a comprendere l’attitudine di tuo padre alla simbologia e alle figure archetipiche che amava rappresentare?
Alberto cercava nella sua arte un fondamento ancestrale, una poetica metastorica che permettesse di abbracciare la storia e la cultura. I simboli, credo, siano per lui quei fondamenti. L’arte diviene così un rituale nel quale i simboli si trasformano in sigilli che richiamano la situazione archetipica del mito con l’intento di penetrare nel mito stesso e d’inscriversi e ricreare quella stessa situazione dall’interno. Così nei quadri di Alberto i riferimenti alle tradizioni mitologiche non sono letterali, ma c’è sempre un enigma, un witz, un aspetto inatteso e un rovesciamento dei personaggi che non corrisponde al racconto tradizionale, ma al viaggio di Alberto nel mito. L’artista come un iniziato diventa un testimone oculare, e la sua storia è quella storia. Questi simboli carichi di energia tradiscono una concezione ermetica dell’arte.
Cosa è rimasto secondo il tuo modo di vedere, della pittura colta in Italia?
La strada della Pittura Colta è una strada contro corrente rispetto alle tendenze attuali dell’arte contemporanea. Richiede una grande abilità tecnica e manuale, il rapporto con la tradizione del disegno e figurativa, la pazienza, il tempo, la fiducia al di là dei pregiudizi critici e delle delusioni del mercato…tutte cose che non sono certamente il pane quotidiano di un’arte che diviene sempre più virtuale e istantanea. Nonostante tutto, ci sono diverse iniziative in corso da parte di artisti che in forma individuale continuano un’esperienza vicina a quella della corrente della Pittura Colta, ad esempio penso alla pittura di Tano Brancato, Cesare di Narda, Salvo Russo, o alla maestria di una scultura come quella di Dino Cunsolo, per restare a Catania.
Domenica 17/11/2919 hai tenuto al Palazzo della Cultura di Catania una conferenza che ha avuto come oggetto il progetto del catalogo e l’opera di Alberto Abate. Cosa vorresti che sia rimasto impresso nell’animo di tutti coloro che hanno partecipato? Quale messaggio ha virtualmente lasciato tuo padre agli amici e ai suoi vecchi colleghi d’arte?
Penso che il progetto di Catalogo generale di Alberto Abate riguarda la storia di Catania e non solo delle persone che in diverse forme sono entrate in contatto più o meno diretto con mio padre. Alberto è un pittore che ha avuto una notevole influenza sulla scena culturale catanese, e la sua arte conservata in musei e collezioni private disseminate anche in questa città è un fiore all’occhiello della tradizione pittorica siciliana che si apre sulla scena mediterranea e internazionale. Alcune opere sono considerate dei capolavori, cerco di dirlo con tutta l’umiltà possibile essendo io la figlia, ma credo che un’opera come l’Elogio delle Arti esposto al Palazzo della Cultura ne sia un esempio accessibile.
Vuoi cogliere l’occasione per rivolgerti a tutti coloro che sono in possesso di un’opera di tuo padre, che ignorano il tuo progetto e che magari leggeranno questa intervista?
Per realizzare questo catalogo è fondamentale la collaborazione dei collezionisti che invito a contattare me e l’Archivio Alberto Abate e ad inviarci le immagini delle loro opere per inserirle nel Catalogo in corso d’opera.
Nel ringraziarti per averci dato l’occasione di parlare di Alberto, ne approfittiamo per porgerti i nostri migliori auguri per la realizzazione del catalogo.
A presto Davide Aricò
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