Troina e l’America, due luoghi vicini o forse no. Quante volte attraversando la provincia di Enna vi siete sentiti proiettati dentro un film western? Inevitabile in un contesto simile, a Troina per la precisione, la nascita dei da Black Jezus, duo autodefinitosi “black-folk”, dove black non si riferisce soltanto alle atmosfere cupe che aleggiano nella loro musica ma anche e soprattutto tradizione roots della musica afroamericana (blues, gospel, etc.) da cui il duo attinge a piene mani.
Tradizione ma anche contemporaneità, laddove tale mistura folk di annata si incrocia con l’elettronica più moderna in un disco, They can’t cage the light, che segue l’EP d’esordio Don’t mean a thing del 2014, “che sviluppa un discorso di redenzione, di rinascita, che racconta la resilienza dell’uomo di fronte alla luce, tutto attraverso una costante dialettica dicotomica di opposti: l’arcaico spiritual e l’odierno synth, la legnosa chitarra folk e la ruvida batteria trap, il buio e la luce”.
A impreziosire il tessuto folktronico/elektro-blues della band, l’originalissimo cantato al tempo stesso caldo e abrasivo di Luca Impellizzeri che per timbrica e interpretazione può essere vagamente assimilato a voci del calibro di Asaf Avidan, Rickie Lee Jones o l’inarrivabile Billie Holliday.
Ed è proprio Luca a rispondere alle nostre domande:
Chi erano i da Black Jezus prima dei da Black Jezus?
Io ho studiato Lettere e sceneggiatura cinematografica, poi ho scritto un paio di libri: il noir Pensa al vento (2011), che ho presentato con uno spettacolo teatrale pensato, scritto e“suonato” da me; e La terra chiama (2016), romanzo storico tra hard boiled, delta blues e black power piaciuto tanto anche a Wu Ming 2, che m’ha persino omaggiato di una frase molto bella in quarta di copertina. Ivano (Amata n.d.r.) ha studiato Legge.
Il tema del vostro disco sembra essere il dolore intrinseco alla vita nella ricerca della luce (“a pursuit of light”, scrivete sulle informazioni della vostra pagina Facebook). Eppure a giudicare dalla cupezza che pervade musica e testi, sembrerebbe essere solo la proverbiale carota davanti all’asino, una vana speranza necessaria per andare avanti. Ècosì che la pensate?
Per arrivare alla luce è necessario passare attraverso il buio. Senza il buio, la luce non esisterebbe nemmeno. Ma nessuno ha risposte certe in tal senso, quindi il tema centrale non è la luce in sé, ma la fondamentale importanza della sua ricerca.
I vostri temi musicali sembrano avere lo sguardo rivolto verso l’America. Pensate ci sia una connessione con la vostra appartenenza alla provincia di Enna, una suggestione legata agli scenari del vostro territorio?
Vorremmo che da Black Jezus sia riferibile ad un’atmosfera più che ad un luogo materiale, che appartenga tanto all’America quanto ai luoghi in cui siamo cresciuti. Un mezzo attraverso cui sia possibile la loro connessione.
Conseguente domanda di rito: quali artisti vi hanno influenzato maggiormente in questo progetto ma anche in generale? Sono particolarmente curioso rispetto a Luca, con quel modo tutto suo di cantare, se pensa di aver avuto una qualche influenza specifica in questo.
Cantavo di tutto: dal primo Harper a Billie Holiday, dagli UGK agli Interpol. Poi ho cercato di attingere da tutto ciò per modellare una identità vocale personale e riconoscibile.
Musica americaneggiante, testi in inglese: avete qualche ambizione rispetto al mercato estero? Avete fatto qualche passo in tal senso?
Ancora nessun passo verso l’estero, ma è fisiologico pensarci. Prima l’Italia, si spera in lungo e in largo, poi si vedrà.
Paolo Miano
L’album è stato anticipato dal singolo Dry, il cui suggestivo video diretto da Alessandro Castagna einterprestato da Mouhamadou Mkabir Awe: