Fernanda Paternò Castello, una vita per l’arte del bello
A 5 anni avevo le idee chiare: da “grande”avrei fatto la pittrice! Ma non capivo la differenza tra dipingere un quadro o imbiancare una parete… per me l’importante era avere pennelli e colori tra le mani. Ne approfittava mamma ben contenta di vedermi all’opera con pareti e oggetti che necessitavano una mano di pittura. Inoltre ero incantata dai disegni della mia insegnante di prima elementare e sognavo di essere brava come lei. Dall’adolescenza in poi, con la guida materna e sui libri, iniziai a studiare tutte le tecniche pittoriche dalle basi del disegno, con approfondimenti su anatomia umana e animale, prospettiva, fumetto, disegno geometrico e tanto altro. La vita e i desideri paterni mi portarono a scegliere studi diversi da quelli che avrei voluto fare: un corso di studi totalmente all’opposto di quello per cui ero portata. Negli anni 70 era impossibile convincere mio padre che il liceo artistico non era un luogo di perdizione! Essendo tendenzialmente un’ottimista ho trovato il positivo nella scelta del mio genitore. Sono un perito aziendale che fa funzionare l’emisfero sinistro del cervello dando equilibrio ad una creatività che, nell’emisfero destro, ci sta pure stretta. Inoltre, grazie a questi studi e a un corso per traduttori, ho perfezionato le lingue inglese e francese e ho scelto di studiare Lingue e Letterature straniere moderne all’Università di Catania, alternando preparazioni di esami e partecipazioni a mostre che ho iniziato a fare esattamente 50 anni fa! Una grande scrivania nel mio studio: da una parte i libri, dall’altra carte, matite, pastelli, pennini, pennelli, chine e acquarelli. Dopo ogni esame non vedevo l’ora di chiudere i libri e dedicarmi agli acquarelli e alle mostre. Contemporaneamente alle lezioni universitarie seguivo la Scuola libera del nudo all’Accademia di Belle Arti. Dopo la laurea (come tesi scelsi un pittore/poeta dell’ottocento) provai a fare gli esami di abilitazione all’insegnamento, ma non andai mai a verificare il risultato perché ero certa di non averli superati: invece di seguire i corsi di preparazione ero andata per un mese in Messico con una tappa a Mosca, dando sfogo ad un’altra mia grande passione: i viaggi!!! L’insegnamento non era la mia strada: volevo continuare a fare la pittrice e, possibilmente, la viaggiatrice. Ho perfezionato lo studio delle lingue, aggiungendo lo spagnolo, sia con dei soggiorni all’estero che con la frequentazione di Exchange Students provenienti da tutto il mondo. Per 20 anni mi sono occupata del Programma Scambio Giovani del Rotary e tuttora mi occupo, in ambito rotariano, di rapporti con Distretti esteri organizzando scambi di ospitalità per adulti e le loro famiglie e stages lavorativi o di volontariato per giovani. Incinta della mia primogenita Eleonora, dopo aver frequentato e appreso le tecniche per l’incisione calcografica presso la stamperia di Rachele Fichera e Fausta Di Bella, comprai un torchio calcografico professionale e, oltre agli acquarelli, feci incisione per tanti anni. Mio figlio Claudio, allora un bimbo, girava la stella del torchio guadagnando lire 500 per ogni stampa. Era un lavoro faticoso… soprattutto quando, sciando, mi lussai una spalla. I miei figli stavano sempre in studio con me e Claudio, nel farmi un favore, faceva anche dei grandi affari! Da piccolo, affascinato dalla mia arte al punto di dire “da grande farò il pittrice”, aveva pure capito come “sbarcare il lunario”. Una sera mi accorsi che contava dei soldi di cui non conoscevo la provenienza. Scoprii che vendeva di nascosto alle mie amiche, per lire 1.000, i suoi bellissimi acquarelli mentre mi assentavo per preparare il tè… scrivendo il prezzo sopra il disegno! Conservo ancora un acquarello con scritto su lire 10.000, venduto alla nonna!
Fernanda Paternò Castello: famiglia e aristocrazia
La mia famiglia d’origine è molto importante e non solo per me: ha dato Viceré e tanti personaggi illustri alla Sicilia. Posso pure vantarmi di avere un avo seppellito in Santa Croce, a Firenze. Il fatto che dei Paternó se ne sia parlato ininterrottamente per 10 secoli significa che la famiglia è sempre stata in auge e non ci sono mai stati secoli bui. I Paternó fanno parte della storia della Sicilia dove arrivarono nel 1060 e, prima ancora, erano noti in Spagna, Provenza e Normandia. Mi chiedono spesso come ci si sente appartenendo ad una famiglia così importante. Rispondo così: “un’aristocratica è una persona che sta in mezzo alle dame senza farsi contaminare”. Mi piace conoscere e far conoscere quello che è stata la mia famiglia seguendone e continuandone le tradizioni perché ci credo e credo nel loro valore morale e storico. Casualmente c’è stato un ritorno nella terra spagnola: mia figlia vive da 13 anni a Barcellona, dove ha studiato e svolge la sua professione di graphic designer. Un ramo della famiglia, i Moncada, proviene da lì: il sangue catalano delle origini scorre anche nelle sue vene. Anche il mio nome ha radici nella stessa nazione: sono la quinta Fernanda a cui è stato dato questo nome per discendenza dalla casa reale spagnola. La cosa più bella, comunque, per me è stata sapere che qualcuno abbia chiamato la propria figlia Fernanda dopo avermi conosciuto.
Arte e opere di Fernanda Paternò Castello
Ho sempre avuto una passione per l’incisione antica e ne ho una interessante collezione, in buona parte trovata in fondo a un armadio nella casa di campagna. Fortunatamente trascurata dai ladri. Nei miei primi lavori cercavo di riprodurre il tipico tratteggio del bulino sulla lastra che viene utilizzata per la stampa. I colori delle mie prime gouaches erano solo grigio, seppia e sanguigna. Gli altri colori sono arrivati dopo diversi anni, ma non sono mai stati sgargianti e preponderanti. I primi soggetti erano case antiche con muri screpolati e le piante del mio giardino. Cercavo di trasferire sulla carta tutto ciò che amavo. Poi, grazie a un corso monografico all’Università, sono arrivata al Barocco, in un periodo in cui dire barocco significava solo “cattivo gusto”. Erano lontani i tempi in cui questo stile sarebbe diventato Patrimonio dell’Umanità. Lo amavo per la sua eleganza, per le sue volute e i suoi mostri, per le sue ombre e i suoi sprazzi di luce. Caratterizzava non solo la nostra architettura, ma l’anima gaudente e fantasiosa del siciliano. Era il simbolo di una città rinata sotto le ceneri e desiderosa di esprimersi con sfoggio di bellezza e originalità. I grigi e i neri della terra etnea, i rossi del fuoco e della lava incandescente diventavano un tutt’uno quando i palazzi e le chiese erano rifiniti con la pietra donata dal vulcano. La fantasia del barocco di derivazione spagnola si sposava con la lineare sobrietà del settecento di derivazione romana e il valente architetto Vaccarini riuscì ad esserne il grande interprete. Altri geniali architetti unirono la pietra nera alla pietra bianca per creare capolavori. Amandolo così tanto, potevo non raffigurarlo? Fino ad avere attribuita l’etichetta di “pittrice del barocco”. Ma son voluta andare oltre con soggetti diversi che si muovevano sulle mie carte con lo stesso spirito e protagonismo dei mostri del barocco: le maschere veneziane e i funamboli grassi. Essendo una grande estimatrice di Egon Schiele e di Lucien Freud mi sono ispirata al loro tratto per dipingere ritratti e figure umane, colti nella loro drammaticità. Da qualche mese, rispolverando un soggetto da me molto amato trent’anni fa, ho ripreso a dipingere in chine acquarellate le vele dell’Amerigo Vespucci per poi trasportarle su grandi tele. Soggetti molto diversi dagli acquarelli con i segni del barocco. Piero Guccione, che trent’anni fa mi presentò in catalogo per una personale alla galleria Andrea Cefaly di Catania, scrisse di me: “Chiunque, guardando i fogli di Fernanda, potrà compiere un breve e gradevole viaggio nel magistero decorativo del Barocco. Chine acquarellate che mimano e riflettono la grazia dei loro modelli…” Per anni, mi sono occupata anche di oggettistica museale partecipando a Parigi, su invito della Regione Siciliana, a Museum Expression, Salone dell’Oggettistica museale. Si teneva nello spazio espositivo sotto la piramide del Louvre. Vent’anni fa, in Sicilia, non si sapeva ancora cosa fosse un Museum shop. Finalmente da qualche anno esiste, a Catania, il Monastore presso il Monastero dei Benedettini: lì, si vendono mie stampe, biglietti, carta da lettere ed ex libris. Il turista ha piacere di portare a casa, oltre agli scontati souvenir, un ricordo che illustra luoghi e monumenti appena visti e visitati. Ho frequentato un workshop con Ricardo Rousselot, il più grande calligrafo di Spagna che, a fine corso, mi disse: “finalmente un’allieva italiana” dandomi, come voto finale, un punteggio molto alto. Ho fatto anche restauro pittorico, perché era questo il mio sogno nel cassetto. Ho avuto l’opportunità di frequentare la bottega di Roberta Ventimiglia di Monteforte, allieva di Pinin Brambilla con la quale ha lavorato al restauro dell’Ultima Cena di Leonardo. Mi sto occupando di moda e sto preparando una collezione (top secret) per la prossima estate e una stilista napoletana che vive da parecchi anni a Dubai mi ha chiesto di riprodurre i miei disegni sulla sua collezione mare. Attualmente sono nel comitato artistico organizzatore del 24mo Film Festival della Costaiblea/Primo Film Festival di Scicli con il regista Vito Zagarrio, docente all’Unitre di Roma. Mi piace molto l’arredamento e dare consigli ad amici che mettono su casa o che desiderano rinnovare qualche stanza. Ho una grande passione per il giardinaggio, con preferenza per succulente e piante grasse. Mi piace scrivere poesie, racconti di vita vissuta, resoconti di viaggi e articoli giornalistici e ho collaborato con riviste d’arte e testate giornalistiche. Grazie al primo Lockdown sono riuscita a trovare il tempo di fare cose che avevo rimandato alla “prossima vita” e ho fatto ordine tra le mie cose, in studio e in casa, ma non vedo l’ora di riprendere i viaggi. Il viaggio più bello che abbia mai fatto è sicuramente quello in Sudafrica e Zimbabwe. Ricordo un episodio particolare ed esilarante, ma che, al tempo stesso, fa capire quanta povertà c’è ancora in questi Paesi: all’uscita dallo Zimbabwe, in aeroporto, cominciarono a perlustrare il mio trolley. Tirarono fuori farmaci e crema per le mani, volevano sequestrare tutto (!) finché trovarono le forbicine e le presero. Alle mie proteste chiamarono la direttrice dell’aeroporto che mi fece capire che me le avrebbe restituite per … un dollaro! E così fu. Mi resi conto di averla corrotta. Anche questa è “arte”, no?!
Grazie a Fernanda Paternò Castello per l’intervista.