Alberta Dionisi (Roma, 1957) vive da sempre a Catania. Si appassiona alla fotografia sin da giovanissima, ma ha iniziato a rivolgersi a quest’arte verso i primi anni ’80, usando dapprima una vecchia Topcon e in seguito una Olympus OM10. Dopo alcuni anni di pausa, in cui si è dedicata alla pittura ad acquarello, riprende a fotografare in digitale nel 2007 e da allora non ha smesso più, partecipando a numerose mostre, personali e collettive in tutta Italia. Molte sue opere, artistiche ma anche di reportage sociale, sono state pubblicate in libri e in riviste letterarie e di informazione.Collabora con l’agenzia di comunicazione Wabimedia.biz e fa parte della redazione del magazine online “Girasicilia.it”.
Per Alberta Dionisi fotografare significaridisegnare la realtà, restituire vita nuova alle cose, suggerendo altri modi di pensare e di vedere. Della sua esperienza con la pellicola le è rimasta una cura particolare per l’inquadratura, l’abitudine a lavorare in “manuale” contravvenendo spesso ai valori consigliati dalla macchina; e la consapevolezza che, al momento dello scatto, occorre spegnere le emozioni e ragionare con l’obiettivo piuttosto che col cuore.
- Ciao Alberta, ho sempre ammirato nelle tue foto, l’abilità di trasformare,attraverso l’inquadratura, la realtà in un’opera fotografica unica, come una creazione pittorica vera e propria. Quando e come ti sei accorta di questo tuo grande talento?
L’inquadratura fotografica, quella porzione di realtà cheritaglio assegnandole precisi confini, corrisponde a me stessa, è una parte di me che riconosco nel reale e di cui desidero appropriarmi al momento dello scatto.Voglio dire che l’oggetto che scelgo di fotografarenon èsolo una porzione dellarealtà visibile, ma è compostoda una parte preponderante che raffigura e rappresenta me, i miei desideri, la mia storia, le cose che ho amato e che mi hannosegnato.Un po’ quel che dicevaWim Wendersquando scriveva: “fotografare è un atto bidirezionale, una fotografia è sempre una immagine duplice: mostra il suo oggetto e dietro – più o meno visibile – il controscatto, cioè l’immagine di colui che fotografa al momento della ripresa”.
Ma poi come e perché questo si trasformi in un’alchimia generatrice di un’opera unica come dici tu, io, sinceramente,non lo so. Del resto ignoro anche se questa trasformazione accade veramente, forse è qualcosa di percepibilesolo da chi guarda dall’esterno: io non ne sono consapevole.
- Mi ricordo della tua presenza, con la tua inseparabile macchina fotografica, a svariati concerti nella nostra città. Le arti amano fondersi e mescolarsi per creare emozioni nuove. Quanta musica c’è fra le tue opere e quanta ne scorre nelle tue vene?
Non credo che esista una mia fotografia che non contenga musica. L’avvertoin ogni sfumatura cromatica, nelle linee e nelle curve, nelle ombre e nei segni di luce. Certe volte ho proprio bisogno di sentirle dal vero, queste note che scorrono dentrol’immagine, e sono felicissima ogni volta che scopro un brano musicale soddisfarel’“ascolto” di una determinata fotografia: idealmente, per me, ogni fotografia dovrebbe avere un suo pezzo musicale assegnato. Proprio perché quella immagine mi rappresenta: i miei pensieri, la mia vita, sono sempre stati colmi di musica.
- La fotografia può diventare un importante strumento di testimonianza sociale e di denuncia politica. Hai mai esplorato questo aspetto durante la tua carriera artistica?
Certamente. Per passione e per impegno politico ho realizzato reportages di avvenimenti, di conflitti sociali ai quali ho partecipato: manifestazioni, sbarchi di emigranti, occupazioni, sgomberietc. , ossia quanto di più lontano si possa immaginare da quello che normalmente fotografo e quindi, spesso anche lontano dal modo con cui fotografo: con calma e concentrazione, scegliendo il soggetto, curando esposizione, tempi e inquadratura.Molti di questi miei servizi fotografici sono stati improntati dall’emergenza di un contesto in cui, certe volte, era a dir poco ardua la sistemazione corretta di luci e tempi(per non parlare della messa a fuoco), che variavano fulmineamente da un secondo all’altro. In seguitoin postproduzione ho cercato di sistemareognuno di questi scatti, con la calma che mi era mancata sul campo, ottenendo a volte risultati più che soddisfacenti. E nonostante contengano degli errori tecnici, assolutamente ineliminabili, ancora oggi a distanza di anni queste fotografie per me risultano molto significative e credo che riescano sempre a veicolare un messaggio valido.
- Il movimento artistico siciliano (sia esso riferito alle arti visive, sia alla musica), ha attraversato fasi di esplosione e momenti di stallo. Come giudichi al momento presente la realtà artistica in Sicilia?
Non credo alle fasi di stallo nell’arte: lo stallo, semmai, è nella comunicazione. L’arte per esistere si avvale della circolazione, della comunicazione: se non c’è diffusione, l’arte è niente, è come se non esistesse. Purtroppo,particolarmente in Sicilia, ci sono tempi in cui la possibilità di far circolare le opere, musicali o visive che siano, viene meno e allora si può avere la sensazione che si stia attraversando un periodo di stasinella produzione artistica. Quindi che benedette siano tutte quelle realtà, spazie teatri occupati, associazioni culturali e circoli, che dispongono luoghi e propongono eventi per alimentare questa diffusione dell’arte checosì può diventare conoscenza e che deve essere alla base di ogni crescita intellettuale e culturale.
- E per il futuro cosa hai in programma?
Bella domanda… subito dopo aver parlato di circolazione e comunicazione! Non so di preciso, dipende da varie cose.Come ho già detto, la fotografia vive solo se stampata e messa in circolazione, il fotografare nonbasta. Quindi qualunque cosa farò, sarà di certo continuativa rispetto a quanto realizzo adesso.Per il resto si vedrà. L’importante è andare sempre avanti, non fermarsi mai.