Valeria uscì in terrazza, intrecciò i lunghi capelli neri che il vento le sbatacchiava in faccia, e si appoggiò alla balaustra. Come spesso le accadeva, rimase attonita davanti al panorama. Abitava in quella casa ormai da quattro anni, ma la vista della baietta di San Giovanni li Cuti, con i suoi grossi massi neri e le case colorate a farle da corona la affascinava ancora. Di tutta Catania, da sempre, quello era il suo luogo del cuore.
Nuvole scure si rincorrevano veloci sul mare increspato dal maestrale. Come in un negativo, le vele bianche di una regata ne imitavano l’inseguimento rapido a pelo d’acqua.
Per una mattinata di fine marzo l’aria era stranamente pungente, ma il caratteristico odore di salsedine, che aveva imparato a riconoscere come segno distintivo della primavera, lasciava presagire l’arrivo della bella stagione.
Sarebbe rimasta lì per ore, la vista del mare la incantava ogni volta come se fosse la prima.
Decisamente l’acquisto di quel settimo piano affacciato sull’orizzonte era stata una delle conquiste più importanti della sua vita. Se l’era proprio sudato; quante case visitate prima di trovare quella giusta, quante bozze rimaneggiate per progettarne la ristrutturazione. Per non parlare del salasso mensile del mutuo, ma ne era proprio valsa la pena.
- Basta! L’hai contemplato abbastanza il mare per oggi! – si disse rientrando in soggiorno, – è ora di darsi da fare.
Il suo socio Gabriele la canzonava sempre:
- In questo studio si concede un sogno ad occhi aperti ogni cinque pratiche evase; ti toccano altri quattro 730 prima di crogiolarti nei tuoi pensieri.
Con sette persone a cena altre fantasticherie non se le poteva certo permettere; doveva ancora rassettare e decidere cosa cucinare. Comunque i suoi invitati non si sarebbero formalizzati; non c’era bisogno di preparare piatti sofisticati, l’importante era stare insieme.
Anche le amicizie se le era sudate, forzandosi a nuove esperienze e frequentazioni. A Gabriele, fidato sostegno dai tempi dell’università, si erano man mano affiancati gli amici del tango, quelli del gruppo escursioni e del circolo di lettura, in una variegata e stimolante compagnia.
Valeria accese la radio, agguantò la scopa elettrica e avviò il repulisty tour del suo tre vani.
A detta del buon Gabriele era una casa valeriesca, vivace e accogliente come la sua padrona: colori caldi alle pareti, mobili moderni dalle linee pulite costellati da soprammobili etnici, cuscinoni variopinti sull’ampio e comodo divano.
Per fortuna casa sua non era mai particolarmente incasinata. Marie Kondo le faceva un baffo, ma lei viveva a Catania, non in Giappone, e il pensiero che un manuale su come fare “i suvvizza di casa” potesse vendere milioni di copie non l’aveva minimamente sfiorata. Peccato, il mutuo sarebbe stato già bello che estinto.
Le ultime note di Born to run segnarono la conclusione del suo tour domestico. Rimaneva solo da riesumare la tovaglia comprata in Andalusia con cui aveva deciso di apparecchiare la tavola, prima di ispezionare la dispensa e affrontare l’impegno più ostico: cosa preparare per cena.
- Certo potevo pensarci prima al menù, mi riduco sempre all’ultimo momento!
Valeria aprì il suo personale refugium peccatorum, il baule del corredo della mamma, dove tutti quegli oggetti che, si sa, un giorno possono sempre servire, riposavano accanto alla biancheria che non usava di frequente.
Era da un pezzo che non utilizzava la tovaglia andalusa, dovette tirar fuori un bel po’ di roba per raggiungerla. L’estrasse dal baule e, sotto di quella, baluginò la copertina in argento di un’agenda telefonica che non vedeva da anni. L’afferrò e ne sfogliò le pagine, mancava tutta la lettera B.
Si dice che in caso d’incidente, in un attimo, passi tutta la vita davanti agli occhi. Evidentemente anche le agendine telefoniche, almeno quelle da cui si sono strappate pagine in un attimo di rabbia, producono un effetto simile.
Una mano gelida le serra le viscere e come d’incanto Valeria si trova nell’aula universitaria dove ha appena sostenuto l’esame per l’abilitazione alla professione, catapultata indietro di sei anni.
Ad aspettarla con viso trepidante c’è Gabriele, che lo stesso esame ha brillantemente superato il giorno prima. Insieme a lui Cristiano, l’atletico istruttore di yoga con cui il suo futuro socio fa coppia da più di un anno. Nessuna traccia, invece, del suo di fidanzato.
Ancora una volta Benny è assente.
La gioia provata a conclusione dell’esame viene offuscata da una nube cupa.
Da qualche tempo sente Benny distante, ma lui si giustifica attribuendo il tutto al superlavoro dell’ultimo periodo.
Per un attimo le trasferte di lavoro durante i weekend, il telefono frequentemente fuori campo, il diradamento dei gesti d’affetto si condensano nell’ epifania funesta del loro amore. Ma è solo un attimo, la vista del mazzo di fiori dietro al quale sbuca il viso trafelato di Benny, spazza via i cattivi pensieri ed accende di contentezza gli occhi di Valeria.
- Scusa amore, il direttore del laboratorio non mi lasciava andare. Lo sai, noi poveri ricercatori universitari quante angherie dobbiamo subire dai professoroni. Ma piuttosto, dimmi, com’è andato l’esame? – le chiede Benny, porgendole quel che a breve, più che un mazzo, si sarebbe rivelato una corona di fiori.
All’aula universitaria si sostituisce l’incrocio tra Corso Italia e Viale Vittorio Veneto.
Semaforo rosso, uno scooter che si accosta al suo e la voce squillante della sua vecchia amica Claudia che le strappa qualche fetta di prosciutto dagli occhi.
- Ciaaoo Valeria, me lo potevi dire che domenica eravate a Capomulini. Non lo sai che andiamo al residence tutti i weekend? Peccato, ho visto la macchina di Benny solo quando stavamo rientrando a Catania.
Verde diventa il semaforo…e la sua faccia.
– Scappo gioia, ci sentiamo. – grida Claudia ruotando la manopola dell’acceleratore.
Fotogrammi di giustificazioni, magoni e illusioni si susseguono in sequenza confusa.
Un attimo ancora e Valeria si ritrova sul lungomare di Acitrezza, davanti a sé le sagome degli omerici faraglioni stagliate nella luce autunnale. In sottofondo il brusio dei commensali dei tanti ristoranti del borgo marinaro. Quella che aveva immaginato come una rilassante pausa pranzo al mare trasformata in un incubo da un messaggio sul cellulare: “Mi spiace, non ti amo più. Ho un’altra”.
Con ciclopica forza ma ben altra precisione, Valeria si rivede scagliare i mitici massi su quello che d’allora in poi sarebbe stato “il vigliacco”. Madeleine rivisitate, sente ancora nelle narici gli effluvi provenienti dalla trattoria davanti alla quale stava transitando in quel momento.
- Un bel risotto alla pescatora, ecco cosa posso cucinare per stasera – si disse tornando in un balzo al suo presente.
Guardò fuori dalla finestra: il maestrale aveva spazzato via le nuvole, il sole scaldava l’aria e della mano di ghiaccio che le aveva serrato lo stomaco non rimanevano che misere gocce.
Mentre si avviava verso la cucina, sentì arrivare un messaggio sul cellulare. Era Alessandro, l’organizzatore in pectore del gruppo.
“Vale ho prenotato il rifugio per la prossima domenica, stasera definiamo i dettagli dell’escursione. Che ti porto per cena, bianco o rosso?”
“Bianco grazie”, digitò, pensando che, no, per lei la primavera non tardava certo ad arrivare.
LAURA ZUCCARO
Laura Zuccaro nasce a Catania nell’ultimo scorcio del ‘68, giusto in tempo per assimilarne lo spirito ribelle.
Laureata in Lingue Straniere, insegna inglese ai ragazzi ricoverati nei quattro nosocomi etnei.
Dopo anni di pratica sportiva agonistica, le ginocchia malandate l’hanno persuasa che è meglio dedicarsi al semplice “scalamento di panza”.
Non vede l’ora di poter tornare a viaggiare e a ballare l’amato tango.