di Eleonora C. Amato
“C’è cu t’inganna, c’è cu cumanna
e cu ‘n silenziu mutu si nni sta.
È lu putiri ca nforza li putenti,
è lu silenziu ca ammazza li ‘nnuccenti,
grapu li pugna, cuntu li jita
restu cu sugnu, cercu la vita”
Rosa Balistreri
La presenza delle donne nel mondo dell’arte, a prescindere dal ruolo che esse hanno avuto nel settore, è stata sempre molto discussa, limitata e sofferta. Svilite da una società decisamente maschilista e spesso sottomesse a rigide regole, il cui rispetto impediva loro di esprimersi liberamente senza alcuna possibilità di replica, le donne avevano due sole alternative possibili: o mogli e madri confinate tra le mura domestiche, silenziose e remissive o, nella peggiore delle ipotesi, disprezzate ammaliatrici dai facili costumi.
Nel corso dei secoli, seppur con fatica, solo alcune sono riuscite a riscattare la propria identità, imponendosi con determinazione nel tessuto sociale a difesa di un futuro in cui nessuno avrebbe potuto più violarne né diritti, né dignità.
La Sicilia è stata terra natale per tante di queste donne: Rosa Balistreri è una di loro.
Determinata e inflessibile, fin da bambina, si oppone con carattere a maldicenze e pregiudizi di qualsiasi natura, nella piena consapevolezza non soltanto di voler proteggere sé stessa e la sua famiglia da un contesto culturale ostile e bigotto ma, anche e soprattutto, nell’ottica di difendere e realizzare i propri sogni a qualunque costo, anche se questo significa prendere un treno e ricominciare da zero in un posto lontanissimo dalla sua tanto adorata terra natale.
Rosa inciampa, cade e si rialza infinite volte, lungo la strada della vita, ma non si arrende mai, neanche di fronte alle sfide più improbabili imposte da un’esistenza segnata da reiterate violenze domestiche, da ingiustizie pagate a caro prezzo, da fame e lacrime nonché da dolorose privazioni, tradimenti, tragici lutti fino alla fine dei suoi giorni.
Non possiede nulla e nulla ha da perdere, c’è una cosa però che nessuno potrà mai portarle via: il suo canto.
Quel canto che per lei è motivazione irrinunciabile per non cedere, cura e conforto alle sue pene, fonte di piccoli dignitosi guadagni, nonché rifugio sicuro. Quel canto che, talvolta per lei, è anche l’unica forma possibile di perdono, un pensiero compiuto diretto e immediato.
Impara da autodidatta a leggere e scrivere per tradurre in musica testi “scomodi” che urtano non poco soprattutto le coscienze più abiette. Attraverso le sue canzoni denuncia senza paura le ingiustizie sociali e mafiose sui più deboli e sugli umili dimenticati, ma al contempo tra una nenia ed un canto d’amore lascia emergere la dolcezza, i fremiti e i tormenti del cuore di una mamma, di una compagna, di una moglie e di tutte coloro che, come lei, hanno cercato e trovato sempre la forza di reagire. Proficui si rivelano, nel tempo, gli incontri con rinomati artisti, poeti, registi e produttori, che contribuiscono non poco alla sua crescita professionale nonché alla sua affermazione sulla scena del folk music revival italiano, tra gli anni ‘60 e ‘70 del XX° secolo, consentendole di godere, anche se per poco, quel tanto agognato successo, in giro per l’Italia, davanti al grande pubblico, per cui canta e racconta con energica presenza scenica modulando a dovere l’estensione della sua voce a seconda della performance.
Donna fuori dal suo tempo Rosa scrive una importante pagina della storiografia musicale e lascia ai posteri un’eredità morale destinata a durare per sempre, quale testimonianza eterna di coraggio, speranza e memoria.
di Eleonora C. Amato
MI VOTU E MI RIVOTU: https://www.youtube.com/watch?v=KliRoSnhhuY