…”un dipinto deve dirti
quello che vuole dirti in breve tempo
e deve dirtelo con la sensazione
di un piacere”…
(Carla Accardi)
Il rifiuto della forma e, in alcuni casi, la crisi di fiducia nei valori della razionalità dà vita, tra il 1945 e il 1960, ad un complesso fenomeno artistico definito dal critico Michel Tapié, Arte Informale o Art Autre. Durante questa fase storica vengono messi in discussione gli elementi più tradizionali dell’espressione artistica nonché, gli stessi supporti e gli strumenti utilizzati da ciascun artista durante l’atto creativo, con l’obiettivo condiviso di: far riflettere, sbalordire e contestare.
Ciascuno da così libero sfogo al proprio stato d’animo, orientando la sperimentazione individuale verso inediti traguardi espressivi, scardinando i criteri canonici del processo comunicativo più accademico e tradizionale.
Tra gli artefici di questa rivoluzione: Carla Accardi.
Trapanese di nascita, romana d’adozione, è considerata oggi una delle personalità più eclettiche e innovative del Novecento artistico nazionale ed internazionale. Fin dagli esordi, con inventiva e coerenza metodologica, ha portato avanti per oltre sessant’anni un’originale ricerca artistica astratto – informale, contraddistinta da una raffinata ed elegante sintassi grafica, straordinariamente individuale e riconoscibile.
Nei suoi “testi pittorici” utilizza quello che potrebbe definirsi un personale alfabeto visivo, in cui il primo protagonista è, indubbiamente, il segno.
Un segno che, già alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, affiora all’interno delle prime opere astratte, per imporsi successivamente, a partire dagli anni Cinquanta, su tutta la superficie pittorica, in infinite e mutevoli varianti, monocrome, poliformi o calligrafiche, fino ad invadere completamente lo spazio e superarne la bidimensionalità.
Un segno che facendosi anche struttura, non è mai fine a sè stesso, ma piuttosto cerca costantemente un dialogo, nell’azione consapevole del comunicare e del porsi in relazione con ciò che lo circonda, agendo quindi su un doppio piano: quello individuale e quello collettivo.
Ne nasce un linguaggio espressivo transitorio in cui, come sottolinea l’artista, lo spettatore deve rinunciare a qualsiasi convenzione precostituita lasciandosi sedurre da una dimensione temporale sospesa, in cui potrà sentire lo scorrere della vita, nel gioco ambiguo, visivo, e indefinito dall’arte.
Altresì fondamentale per Accardi è il colore. Puro e trasparente esso incanta, si espande, percorre con energia, la superficie pittorica per rivelare ciò che costituisce il dipingere, aldilà di una sua possibile funzione. È entità materica ambivalente che segna confini ma, al contempo, preannuncia continuità. L’artista nell’utilizzare ed accostare sapientemente caseine, vernici fluorescenti, esplora il colore alla ricerca di luce, ricerca che troverà il proprio culmine nel momento in cui, in piena maturità artistica, sperimenta nuove soluzioni estetiche avvalendosi di un materiale plastico trasparente, semirigido e inusuale, il sicofoil, sia su telai geometrici, sia per costruire e decorare istallazioni ed opere tridimensionali.
Estrema luminosità dunque per guardare oltre, per uscire dalla dimensione piana del quadro, verso nuove frontiere compositive in cui procedimento e materia si legano indissolubilmente in una trasparenza tangibile e praticabile, che invita al transito concreto della pittura, in uno spazio ibrido che è anche lo spazio dell’esperienza, quella vissuta attivamente dallo spettatore che nell’opera entra e con l’opera si relaziona.
Così il prodotto artistico, liberato da qualsiasi vincolo, vive in eterno in quel dialogo costante tra segno, luce e colore che stimola visivamente ed emotivamente il fruitore avviando, secondo la filosofia hegeliana, quel processo di autocoscienza che porta all’assoluto.
Eleonora C. Amato