L’ammodernamento della Pubblica Amministrazione è ormai considerato un obiettivo primario dell’agenda politico-istituzionale già formalizzato nell’ambito della Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020, al fine di realizzare un graduale processo di trasformazione digitale del settore pubblico, come condizione necessaria per assicurare un significativo contenimento della spesa pubblica, creare nuove opportunità di crescita, semplificare la burocrazia e rendere la politica più trasparente ed efficace.
Tuttavia, l’effettiva attuazione di tali obiettivi procede a rilento, soprattutto a causa del basso livello di competenze digitali, costituente la principale criticità – periodicamente riscontrata dal Digital Economy and Society Index (DESI), che colloca l’Italia negli ultimi posti della classifica europea in materia di alfabetizzazione informatica e dotazioni infrastrutturali a banda larga ultraveloce.
Lo scarso livello di competenze digitali incide sul corretto esercizio dei diritti di cittadinanza spettanti agli individui nei rapporti con la PA.
Tra i diritti fondamentali che rilevano nel settore pubblico, senza dubbio centrale, è, ad esempio, la conoscenza dei contenuti pubblici, come condizione essenziale per assicurare la concreta attuazione di un modello comunicativo bidirezionale funzionale a valorizzare la cittadinanza digitale per stimolare la partecipazione dei cittadini e garantire un efficace controllo sull’operato della PA nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dall’art. 97 Cost.
Al riguardo, particolarmente rilevante è la disciplina contenuta nel decreto legislativo n.33/2013(“Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusioni di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”), approvato in attuazione dei principi e criteri direttivi delle delega contenuta nell’art. 1, comma 35 della legge 6 novembre 2012, n. 190 e entrato in vigore il 20 aprile 2013.
L’obiettivo perseguito dal legislatore del 2013 è quello di incrementare gli standard di trasparenza della PA, come si evince chiaramente dall’art. 1 D.lgs. 33/2013, a tenore del quale “la trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
In tale prospettiva, diventa prioritariopromuovere la trasparenza del settore pubblico anche mediante concrete modalità di accesso e riutilizzo dei dati pubblici che esprimono la rilevanza degli OpenData.
Pertanto, ogni PA dovrebbe predisporre un intervento normativo per formalizzare la rilevanza del diritto alla conoscenza, qualificabile come bene fondamentale, funzionale ad assicurare la disponibilità e il riutilizzo dei dati pubblici, nell’ottica di migliorare la trasparenza amministrativa, promuovere una partecipazione interattiva, consapevole e attiva dei cittadini e favorire lo sviluppo di applicazioni innovative finalizzate ad incrementare la qualità dei servizi pubblici erogati alla collettività.
La Direttiva 2003/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio costituisce la prima rilevante fonte normativa organica di riferimento volta a regolare il riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, ulteriormente implementata dalla Direttiva 2013/37/UE.Più di recente, è intervenuta in materia la Direttiva 2019/1024/UE.
Dalle citate fonti normative si evince la necessità di sfruttare il potenziale dell’informazione del settore pubblico a vantaggio dell’economia e della società grazie alle possibilità di utilizzo dei dati in possesso delle PA, nel rispetto delle disposizioni dello Statuto internazionale degli OpenData (International open data charter – http://opendatacharter.net/), considerato che il settore pubblico raccoglie, produce, riproduce e diffonde un’ampia gamma di informazioni in molti settori di attività.
Per tale ragione, il legislatore europeo ritiene indispensabile realizzare un quadro normativo uniforme in tutti gli Stati membri, auspicando un’armonizzazione minima delle normative e delle prassi nazionali esistenti, affinché il riutilizzo dei documenti del settore pubblico avvenga in condizioni eque, adeguate e non discriminatorie.
Peraltro, anche il Codice dell’Amministrazione, emanato con D.lg 7 marzo 2005, n. 82, dopo aver sancito all’art. 2 che “Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate (e nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli utenti) le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, nel successivo art. 50 (“Disponibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni”) precisa che “I dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall’ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati; restano salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, le norme in materia di protezione dei dati personali ed il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico”.
In ambito locale, un numero crescente di Comuni ha già predisposto interventi di disciplina degli Open Data, mediante regolamenti comunali, deliberazioni di Giunta o atti di indirizzo, con i quali è stata formalizzata la volontà dell’amministrazione di garantire la trasparenza della propria azione e la finalità di utilizzare gli Open Data come volano dell’economia digitale e come opportunità di sviluppo locale attraverso la realizzazione di applicazioni basate sulle informazioni pubbliche.
I dati pubblici costituiscono patrimonio generale della collettività che ha diritto di accedervi e di riutilizzarli liberamente, fruendo della disponibilità di tutti dataset esistenti per la creazione di applicazioni e strumenti innovativi e per far valere la trasparenza del processo decisionale delle istituzioni.
I dati pubblicati in formato aperto devono essere disponibili gratuitamente, completi e contenenti tutte le componenti che consentano la loro esportazione, accessibili per gli utenti senza pagamento, registrazione o richiesta, liberi da licenze che ne limitino l’uso, la diffusione e la ridistribuzione, ridistribuibili per combinarli con altre basi di dati, ricercabili facilmente e identificabili in rete attraverso cataloghi e archivi indicizzabili dai motori di ricerca e aggiornati periodicamente.
Nel rispetto del quadro normativo vigente, si ritiene indispensabile assicurare l’adozione generalizzata di una concreta regolamentazione in materia di OpenData, al fine di realizzare un modello di PA aperta, in grado di valorizzare il patrimonio informativo pubblico, migliorando la democrazia partecipativa e lo sviluppo di imprese specializzate del settore ICT, al fine di promuovere sostenibilità economica e benessere sociale.
Angelo Alù